Copertina della seconda edizione inglese della Octagon Press, 1985
Doris Lessing, Memorie di una sopravvissuta (The Memoirs of a Survivor, 1974), "Collezione Vintage", Fanucci, Roma, 2003, traduzione di Cristiana Mennella, postfazione di Oriana Palusci, 251 pagine.
All'inizio degli anni Settanta, dopo aver scritto opere come L'erba canta, il Taccuino d'oro e la serie Children of Violence s'inizio a parlare di Doris Lessing come possibile candidata al premio Nobel.
Le sue fortune iniziarono però a calare in seguito alla pubblicazione di libri di "fantascienza", dei quali Memorie di una sopravvissuta è uno dei primi esempi, che venivano giudicati di valore inferiore ai precedenti.
Questi giudizi, che non le impedirono di vincere il Nobel nel 2007, appaiono, leggendo la produzione incriminata, del tutto pretestuosi e fuori luogo.
La fantascienza della Lessing (che non ha mai avuto, a questo proposito atteggiamenti snobbistici nè alcun imbarazzo accademico) è paragonabile a quella del Signore delle mosche o a 1984; si tratta di uno spostamento in avanti del tempo, di un'astrazione della realtà che la circonda, della ricerca di luoghi simbolici e paradigmatici. L'ambientazione fantascientifica esplicitata negli universi distopici che ha creato nel corso degli anni, sono strettamente funzionali all'esplorazione delle capacità del genere umano di affrontare quella vasta gamma di situazioni sociali da lui stesso create e del modo in cui esse si manifestano e ripercuotono nell'intimo delle persone.
Memorie di una sopravvissuta racconta la vita di due donne che si trovano a vivere insieme (la più giovane affidata alla più anziana) il disgregamento della vita normale di una città in uno scenario post-catastofe le cui cause non vengono mai menzionate.
Legate da un vincolo profondo ma non esplicitato, le due donne affrontano gli eventi con personalità ed energie diverse e complementari. Parallelamente alla narrazione degli eventi, la donna anziana vive solitari momenti di esplorazione dello spazio interiore fantastico e "altro", da cui la ragazza proviene ma a cui non sembra interessata a tornare, che si palesa dalla smaterializzazione periodica della parete del salotto di casa.
Bellissima ed inquietante la cornice, l'ambientazione del romanzo che pur essendo solo lo sfondo della narrazione delinea situazioni che ricordano molto da vicino le sperimentazioni sociologiche di Ballard.
Nel 1981, dal romanzo è stato tratto un film per la regia di David Gladwell ed interpretato da Julie Christie e Nigel Hawthorne.
Ma forse sarà il caso di notare che a tutti - senza eccezione - capita di ripensare a un periodo della vita, a una serie di avvenimenti, e di torvarli assai più significativi di quanto non fossero all'epoca. E il discorso vale anche per quelli deprimenti quanto i rifiuti sparsi su un prato dopo una scampagnata. Ci scambieremo impressioni come desiderando o sperando nella conferma di un un dettaglio che quegli avvenimenti non avevano lasciato trapelare, che sembravano addirittura escluso a priori. La felicità? È una parola che ogni tanto ho preso e studiato - ma direi che non tiene, nella forma. E nel contenuto? E se avesse un intento? Comunque sia, rievocato in questo spirito, il passato sembra immerso in una sostanza estranea, avulsa dal modoin cui lo abbiamo vissuto. Possibile che la memoria sia fatta veramente di questo? Nostalgia? Macché. Non sto parlando certo del desiderio, del rimpianto - quella smania velenosa non c'entra. E nemmeno l'importanza che ognuno di noi vorrebbe attribuire al suo trascurabile passato: «Io c'ero, sai. Io l'ho visto.» p.10
Si, era fuori dal normale. Si, era tutto assurdo. Ma in fondo, avevo accettato l''assurdo'. Ci convivevo. Avevo sacrificato ogni aspettativa di normalità al mio mondo interiore, alla mia vita in quel luogo. Quanto al mondo pubblico, esterno, da un pezzo non offriva più niente di normale. p.25
Delle nostre abitudini, di ciò che avevamo dato per scontato solo dieci anni prima, non era rimasto niente, o ben poco, ma noi continuavamo a parlare e comportarci come se ancora ci identificassimo in quelle vecchie forme. p.25
Noi siamo la compagnia che ci scegliamo. p.65
Quando mai la calsse dirigente del nostro paese non ha vissuto sotto la campana di vetro della rispettabilità e della ricchezza, chiudendo gli occhi davanti a quanto succedeva fuori? Poteva esistere una reale differenza quando la 'classe dirigente' usava parole come giustizia, lealtà, equità, ordine o addirittura socialismo? - le ha usate, magari addirittura credendoci, se non altro per un periodo; ma mentre tutto andava in pezzi gli amministratori, come sempre, vivevano al riparo dal peggio, cercando di allontanarlo con i discorsi, gli auspici, le leggi - perché ammettere che stava succedendo equivaleva a riconoscere la propria inutilità, confessare che la maggiore sicurezza di cui godevano era un furto, non un compenso per i loro servigi... p.119
... il linguaggio dei poveri, spoglio, ridotto all'osso, ha sempre contenuto l'energia del risentimento (amagari inconsapevole, ma presente) alimentato dalla consapevolezza di capacità e provilegi appena fuori portata ... p.124
Un bambino può piangere come se tutta l'infelicità dell'universo fosse solo sua - quando una donna piange, il punto non è il dolore, no, ma l'accettazione definitiva di un torto. p.187
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