lunedì 31 marzo 2014

Il castello in aria

Il Tappeto Volante, Viktor Michajlovič Vasnecov, olio su tela, 1880
Diana Wynne Jones, Il castello in aria (Castel in the Air, 1990), "Mangazine", Kappa Edizioni, Bologna, traduzione dall'inglese di Daniela Ventura, 2006, 202 pagine.

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giovedì 27 marzo 2014

Libertà


Jonathan Franzen, Libertà (Freedom, 2010) "Supercoralli", Einaudi, Torino, 2011, traduzione dall'inglese di Silvia Pareschi, 626 pagine.

Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici.

Connie invece non sapeva cosa fosse la completezza: era tutta profondità e niente superficie.

I ridicoli sistemi di guadagno suggeriti dai giornalini degli Scout – vendere abbonamenti porta a porta, imparare giochi di prestigio e organizzare spettacoli di magia a pagamento, procurarsi gli attrezzi per la tassidermia e imbalsamare il lucioperca da primo premio dei vicini – puzzavano tutti ugualmente di vassallaggio («Sono il tassidermista della classe dominante»), o peggio, di elemosina. E cosí fu inevitabile che, nella sua lotta per emanciparsi da Walter, Joey venisse attratto dall’imprenditorialità.

L’ingiustizia aveva una forma, un peso, una temperatura, una consistenza e un pessimo sapore.

Basandosi sull’incapacità di ricordare il proprio stato di coscienza nei primi tre anni di college, l’autobiografa è costretta a presumere di non aver avuto uno stato di coscienza. Si sentiva sveglia, ma in realtà doveva essere sonnambula.

Oggi l’autobiografa pensa che i complimenti fossero una specie di bevanda che Patty aveva l’inconscia saggezza di negarsi, proprio perché ne aveva una sete infinita.

L’autobiografa è sicura che, se fosse stata piú consapevole di se stessa e avesse prestato anche solo un briciolo di attenzione al mondo circostante, Patty non avrebbe giocato cosí bene a pallacanestro. Il successo negli sport è riservato a chi ha la testa quasi vuota.

C’è una pericolosa tristezza nei primi rumori delle attività mattutine altrui; sembra che il silenzio soffra, quando qualcuno lo rompe. Il primo minuto della giornata lavorativa ci ricorda tutti gli altri minuti di cui è fatto il giorno, e non è mai un bene pensare ai minuti come a entità singole. Solo dopo che altri minuti si sono uniti al primo, nudo e solitario, il giorno assume un’identità piú stabile.

Quel vecchio piano (o speranza, o illusione) era naufragato. Il nuovo piano prevedeva che si sforzasse di dimenticare la notte precedente e fingesse che non fosse accaduto nulla.

Il colpevole, col senno di poi, sembrava quasi bin Laden, ma non del tutto. Il colpevole era una cosa piú profonda, che non c’entrava con la politica, una cosa strutturalmente malevola, come una gobba sul marciapiede che ti fa inciampare e cadere faccia a terra mentre te ne vai a spasso in perfetta innocenza.

Lalitha aveva una guida veloce e piuttosto spericolata, ma Walter era arrivato a preferire l’ansia del passeggero alla rabbia moralistica che lo consumava quando sedeva al volante, alla sensazione apparentemente inevitabile che, di tutti i guidatori sulla strada, solo lui stesse viaggiando alla velocità giusta, solo lui sapesse trovare un buon compromesso fra un’obbedienza troppo zelante e una ribellione troppo pericolosa alle regole del traffico.

Esiste una specie di felicità nell’infelicità, dopotutto, se si tratta dell’infelicità giusta. Gene non doveva piú temere una grossa delusione nel futuro, perché l’aveva già ricevuta; aveva superato quell’ostacolo, aveva fatto di sé un’eterna vittima del mondo.

Walter non aveva mai amato i gatti. Li considerava i sociopatici del regno animale, una specie addomesticata come male necessario per il controllo dei roditori e in seguito idolatrata, cosí come succede in quei paesi infelici che idolatrano il proprio esercito, che onorano le uniformi degli assassini come la gente che accarezza il bel pelo dei gatti perdonando loro le zanne e gli artigli. Nel muso di un gatto non aveva mai visto altro che affettata indifferenza ed egoismo; bastava stuzzicarlo con un topo giocattolo per capire cosa gli stesse davvero a cuore.

Ancora oggi l’accesso alla riserva è consentito solo agli uccelli e ai residenti di Canterbridge Estates, gli unici a conoscere la combinazione del lucchetto che chiude il cancello, sormontato da una piccola insegna in ceramica con l’immagine di una bella ragazza dalla pelle scura da cui la riserva prende il nome.

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venerdì 14 marzo 2014

Zia Mame


Patrick Dennis alias Edward Everett Tanner III akaVirgina Rowans, Zia Mame (Auntie Mame. An Irreverent Escapade, 1955), "Fabula", 210, Adelphi, Milano, traduzione dall'inglese e postfazione di Matteo Codignola, 380 pagine.

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giovedì 6 marzo 2014

Il cannocchiale d'ambra

A small glimpse into the Mulefa’s world. Seed pods! da Blog Hoblin
Philip Pullman, Il cannocchiale d'ambra (The Amber Spyglass, 2000), Salani, Firenze, traduzione dall'inglese di Francesco Bruno, 2000, 451 pagine.

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