giovedì 26 febbraio 2009

L'erba che non muore mai




Un gruppo di contadini curdi raccoglie il cotone a Bozkuyu, nella provincia di Urfa, Turchia, 2008 [foto di Anne Holmes da Photoshelter].

Yashar Kemal, L'erba che non muore mai (Ölmez Otu, 1968), Giovanni Tranchida Editore, Milano, 1999, traduzione di Roberta Denaro, 418 pagine.


Terzo e conclusivo capitolo della Trilogia della Montagna, questo romanzo narra le vicende degli abitanti di Yalak nella loro discesa annuale dalle montagne del Tauro verso la ricca pianura della Çukurova (l'antica Cilicia, in Turchia) per la raccolta del cotone.
Alcuni dei personaggi della Saga, il santo Tashbash, il capo del villaggio Sefer, Memidik e il vecchio Koca Halil, le cui gesta sono state narrate nei romanzi precedenti, incontrano, alla fine, il loro destino.
Il tempo della narrazione è quello sospeso del Mito, solo interrotto ogni tanto dal rumore di motori ronzanti e dai fari dei camion o dai jet americani in decollo dalla base di Incirlik, che volano quasi sfiorando terra...

Yashar Kemal è una scoperta inaspettata e piene di sorprese. La sua è una anti-epica in cui si avverte il respiro della Storia, l'avventura dell'Uomo come nei cantar di Scorza, che gioca con la scrittura come fa Saramago e che fa sorridere come i raconti di Hrabal.


Rapido, Memidik estrasse dal fodero il coltello dalla lama sottile come una foglia di salice, che al chiaro di luna mandò un riflesso di lampo azzurrino e disegnò un ampio cerchio nell'aria. Tutto il suo corpo si tese, fino al midollo, come un falco nelle rocce pronto a gettarsi sulla preda. Fece un balzo, poi rimase di nuovo così, teso, con le gambe irrigidite e tremanti. Aveva il corpo trasformato dalla testa ai piedi in una pesante barra di piombo. Immobile allo stesso modo. p. 9

Dopo essersi arrampicato su delle ripide rocce giunse alla sorgente. Si sedette, i fianchi appoggiati all'alberello. Chiuse gli occhi. Con le sue terre aride, blu, rosse e verdi, con le sue rocce appuntite, i suoi fiori, i cardi, i suoi uccelli e le sue bianche nuvole, l'intero universo girava intorno a lui. Nella completa assenza di suoni, l'universo risuonava. p.37

Si , la Çukurova non è un posto come gli altri. È un piano infinito, senza confini. Fatto di paludi e boscaglie, di corsi d'acqua e d'immensi mari. Le zanzare vi arrivano a nubi...
La Çukurova è biancora infinito. È colonne di polvere che salgono fino al cielo, e si spostano come immensi giganti, e volano, come giganti dai mille colori. La Çukurova è calore giallo, fumo e polvere. Una terra maledetta, senza piante o alberi, riarsa. Ed è malaria, malattie. Le ossa che dolgono, il sudore che cola. È automobili, e trattori, trebbiatrici, è una creatura incapace di parlare, che solo a tratti grida, una creatura incapace di parlare, che solo a tratti grida, una creatura non umana dalle mani di cotone, la pelle di seta, i capelli di seta filata. E ancora, è cappelli di paglia, vesti bianche e occhi neri. No, non è un posto come gli altri, un posto tranquillo... La Çukurova è un drago verde. Arriva dal cielo sibilando, sotto forma di nuvola. Le genti del Tauro non trovano pace finché non se ne vanno dalla Çukurova. Vivono nella paura. Non pensano che a terminare il loro lavoro e a tornare ai loro monti, alla steppa, un giorno prima. Già due giorni dopo essere arrivati nella piana, si consumano il cuore di nostalgia per le montagne o la steppa da dove vengono. p.44

Un morto non somiglia più a chi era da vivo. Cambia. Non gli somiglia per niente. [...] I morti diventano come tutti i morti. I morti sono simili ai morti... p.74

«La vita dei vecchi è più fragile di un filo di cotone, più sottile di un raggio di luce.» p.192

Pensava ai campi di cotone. La piana della Çukurova le passava sotto gli ochhi. dolce e magica. Tutta un'altra cosa. Le rocce violette dell'Anavarza, e sulle rocce i ruderi che si indovinavano appena. Le acque del Ceyhan, verdi, ferme, mosse solo da un leggero tremolio, e il Mediterraneo azzurro e risonante, coperto di schiuma bianca, con le sue onde folli di rabbia. Il sole scintillante, il sole... La terra della Çukurova che diventa bianchissima sotto il sole... I trattori unti d'olio, i camion, le strade polverose che si stendono sulla piana come una tela di ragno, le colonne di polvere, fatte di luce di tutti i colori, che corrono senza posa verso il Tauro, sempre più grandi e alte... E i campi e le strade affollati di braccianti... I braccianti che si pressano nella piana della Çukurova, simili a formiche dalle enormi mani, affamati, miserabili, la tristezza negli occhi... p.195

Le vecchie aquile muoiono nel più remoto dei cieli, dove sono le stelle. Ma il figlio dell'uomo, quando è vecchio, muore strisciando come un verme, figliolo , strisciando a terra. p.219

La notte era luminosa, scintillante. A ogni passo restava dietro un lago di luce. Tutto era immerso nella luce. Piovve, ma era pioggia di luce che non bagna. Una luce ha spaccato la notte, l'ha divisa nel mezzo. Come una lama ha tagliato in due i monti e la notte. p.320

Meryemce ruppe una cipolla col pugno della mano. Bisogna fare così, infatti quando la cipolla viene tagliata col coltello diventa immangiabile, mentre schiacciata col pugno le fa perdere l'amaro. p.324

Se ci si mette al bordo di un buon campo di cotone e lo si guarda, si vedono solo foglie verdi. Tra il verde delle foglie spunta il candore del cotone, è un'esplosione. In un campo come quello ogni pianta arriva alla cintola. E le caspule che esplodono tra i riami verdi sono grandi quanto un pugno. Se il campo non è di buona qualità, o è nella norma, dalle piante di cotone le foglie sono già cadute a terra, e rimane sulle piante solo il cotone. Il campo allora diventa una distesa innevata, immacolata. E senza fiori. Un buon campo di cotone, fertile, somiglia a un grande giardino fiorito, è coperto di migliaia di fiori multicolori. p.391

Nel cielo una pioggia continua di stelle filanti. E sotto le stelle, si diffondeva per la steppa un canto commovente, il canto notturno di una bella voce d'uomo.
Noi stiamo seduti su una terra di primavera, vecchia di mille anni, dice il canto. Ci siamo amati di un amore vecchio mille anni, vecchio quanto la terra. Uniti nell'amore, uniti nella morte, siamo seduti su una terra di primavera vecchia centomila anni. Ci siamo amati. Abbiamo mescolato il nostro sangue vermiglio, diceva il canto. E continuava, per poi farsi dempre più lontano... p.403

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