Valerio Varesi, Il paese di Saimir, "Verdenero", 15, Edizioni Ambiente, Milano, 2009, 312 pagine.
Saimir è un ragazzo di diciassette anni. Lavora in in nero come muratore insieme ai suoi compagni. Ogni mattina viene prelevato da un caporale e viene scaricato al cantiere dove si sta costruendo un palazzo lucrando sui materiali. Saimir rimane intrappolato nelle cantine del palazzo quando questo crolla. Rimane due giorni sotto le macerie, vivo per miracolo. I suoi tre compagni, albanesi come lui, clandestini come Saimir credono che sia morto e non danno l'allarme, perché hanno paura, perché sono ricattabili, perché hanno perso la loro umanità in qualche punto del percorso che dal gommone li ha catapultati nelle strade di un paese qualunque delle Penisola. I compagni di Saimir vengono convinti a non denunicare la morte, vengono comprati per il loro silenzio.
Storia travasata nelle pagine del libro direttamente dalla cronaca quotidiana purtroppo talmente comune da non fare quasi mai notizia.
Poi penso a ciò che avrei fatto io se qualcuno dei miei compagni fosse rimasto sotto le macerie. Non avrei dubbi: lancerei l'allarme e chiederei soccorso. Ma se ci penso bene, non ne sono così sicuro. Il fatto è che siamo un mucchio di marionette e decidiamo istante per istante ciò che vogliamo essere. Se rivivessimo venti volte la stessa giornata, non ce ne sarebbe una uguale. E allora cosa possiamo chiedere? Decidono per noi le opportunità, le tentazioni e gli obblighi che ci si presentano davanti. La miseria e l'ignoranza fanno il resto. Così, di fronte al luccicare della vita si fa presto ad acconatonare una promessa o più semplicemente la solidarietà. p.149-150
E se pensava a tutte le faccende che aveva sbrigato rischiando del proprio, spezzandosi la schiena per ottenere risultati, si dava dello stronzo. Mai mettere troppo entusiasmo nel lavoro in conto terzi. Pensare a se stessi evita di sentirsi stupido dopo. p.153
La copertina
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