venerdì 10 aprile 2009

Annibale


Francisco Goya, Annibale vincitore che rimira dalle Alpi l'Italia, 1770, Fundación Selgas-Fagalde


Paolo Rumiz, Annibale. Un viaggio, "I Narratori", Feltrinelli, Milano, 2008, 189 pagine.

Uno dei pochi motivi per cui valga la pena di leggere un quotidiano ad agosto è quello di leggere alcuni rari inserti che, normalmente, non trovano spazio tra le pagine degli altri mesi. Da anni sono un appassionato lettore degli inserti di Paolo Rumiz che pubblica la Repubblica. Di solito sono anticipati da qualche disegno di Altan e si presentano con un dispiegamento di cartine e tappe che fanno venire voglia di partire subito.
Questo libro è l'adattamento de Il ritorno di Annibale, uscito a puntate nell'agosto del 2007 su "la Repubblica".
Annibale, come Ulisse, è un archetipo del Mediterraneo, qualcosa che accomuna molti dei popoli affacciati su questo mare ma Annibale Barca è stato anche un personaggio storico e, leggendo il resoconto del viaggio di Rumiz, mi ha colpito il fatto di essere caduto anch'io, nonostante i, per la verità, non freschissimi studi di Storia Romana, nella rimozione collettiva seguita alla sua damnatio memoria.
Non mi ricordavo che fosse rimasto tredici anni in Italia, né che si fosse spinto fino in Armenia né tantomeno che, ad un certo punto, fosse diventato persino il garante della pax romana a Cartagine...


Comincio a chiedermi cosa e chi sto cercando forse Annibale non è un uomo, è una malattia. p.10

Guardo i soldati del Duemila scendere in fila ordinata e penso che c'è più distaza tra loro e la guerra di mio padre nel '42 sui monti della Croazia, di quanta non ve ne sia tra mio padre e la guerra di Annibale. La mulattiera su cui camminiamo è stata fatta negli anni trenta, in soli novanta giorni. Oggi nessun soldato ne sarebbe capace, per lo meno con i mezzi dell'epoca. Ma allora, penso, se la naia dei miei vecchi è più simile ai racconti di Polibio o di Senofonte che alla cronaca delle moderne guerre stellari,forse l'impresa non è impossibile. Quando ero ragazzo li ho visti, gli alpini. Erano una mandria in cammino. Stessi animali da soma di duemila anni fa, stesse bestemmie, stessa fatica, stesse facce da contadini. Ora capisco: il mondo che cerco non è scomparso dal millenni, ma da appena trent'anni. p.16

Ma intanto il Grande Africano riappare a Venaus, accanto al presidio contro l'Alta velocità ferroviaria, con uno striscione teso fra due alberi: SUI MONTI DOVE PASSO' ANNIBALE IL TAV NON PASSERA'. p.17

"Chissà quanto peseranno le ceneri di Annibale, " dice un ironico refrain coniato dai Romani a guerra finita. La domanda era costruita apposta per ricevere in risposta un'unica parola "Niente". Si voleva estorcere la conferma che il babau era diventato un nulla, era sparito dalla Storia. Ma i Romani non avevano fatto ci conti col mito, la leggenda che avrebbe invaso il Mediterraneo per secoli dopo la sua morte. p.29

In quota ti catturano intuizioni improvvise, non so se per l'aria fina o la gran vista. p.55

Siamo su quella che gli storici chiamano la Linea delle battaglie: dove si susseguono Lepanto, Azio, Canne, Mostar, Sarajevo, Vienna. Da questo orlo del Tavoliere fino ala Danubio corre la frontiera che nel cuore d'Europa separa Oriente e Occidente. p.117


La copertina



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