Invece la sua zucca era buia come la notte in cui stava sprofondata la sua patria; una notte in cui tutto era possibile ...
Boris Pahor, Necropoli. Memoir (Nekropola, 2005. "Le strade", 134, Fazi Editore, Roma, 2008. Traduzione di Ezio Martin, revisione del testo di Valerio Aiolli, introduzione di Claudio Magris, 280 pagine).
Boris Pahor è nato a Trieste nel 1913, appartiene alla minoranza slovena, non tutte le sue opere sono tradotte in italiano e Necropoli è la prima ad essere pubblicato (in realtà ripubblicata) da un editore, Fazi, di diffusione nazionale.
Dopo l'8 settembre 1943, Pahor, militare italiano in Libia tornò a Trieste dove si unì alla resistenza slovena, catturato dai nazisti, venne deportato in diversi campi di concentramento nazisti da cui risucì a sopravvivere.
E proprio la visita ad uno di questi, il campo di Natzweiler-Struthof in Alsazia, costituisce lo spunto narrativo da cui Pahor inizia disporre i suoi ricordi di prigionia, il suo errare per i diversi campi, tra montagne di cadaveri e di uomini ridotti ad ombre scheletriche.
Ci comportiamo nel modo esattamente opposto a come si comportano le api: dissipiamo il nostro polline su un milione di oggetti e, fingendo d'ignorare la sua voce segreta che ci sussurra che non sarà possibile, speriamo di poter avere un bel giorno tanto tempo a nostra disposizione da riuscire a riempire il vuoto del nostro alveare.
E l'uomo europeo ha accettato questo perché, nonostante le sue esclamazioni altisonanti, in verità è indolente e pauroso, talmente abituato a tirare avanti con comodo e a ridurre tutto quanto a sistema da non trovare lo spazio per inserire, nel proprio ordine di preoccupazioni misurato con il bilancino, il bisogno di una tto di fierezza. E se ogni tanto, nell'inconscio, prova vergogna per questa situazione da eunuco, si sfoga in grande stile nelle prediche moralizzatrici e nello stigmatizzare le gesta avventate della gioventù; ma ha già scialacquato in anticipo il patrimonio di onestà e di giustizia che avrebbe dovuto trasnettere alle nuove generazioni.
L'unica soluzione possibile allora, è la rivolta collettiva, che raccoglie in un'onda, in una ventata, tutte le superstiti scintille di energia. E i rari tentativi di cui io sono a conoscenza furono collettivi. Quello di Mauthausen, per esempio. Tutto un blocco di notte balzò fuori gettando i pagliericci sui fili dell'alta tensione. Certo, pochi riuscirono a sfuggire ai denti dei cani, ma tutti i caduti salvarono almeno la propria dignità di uomini.
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