domenica 26 ottobre 2008

Tre camere a Manhattan


Nighthawks, Edward Hopper, 1942 (Art Institute of Chicago)

George Simenon, Tre camere a Manhattan (Trois chambres à Manhattan, 1946), Adelphi, 1998, trad. di Laura Frausin Guarino (p).

Eco del soggiorno statunitense dell'autore belga, in fuga da accuse di collaborazionismo poi risultate infondate, questo romanzo breve è una goccia nel mare dell'imponente produzione letteraria di Simenon che non ha come protagonista il commissario Maigret.
L'ambientazione newyorkese è solo di occasione, la storia avrebbe potuto tranquillamente ambientarsi a Parigi o in qualsiasi altra metropoli in cui fosse credibile trovare bar aperti fino a tardi.
Il romanzo pare sia stato scritto di getto in un periodo in cui l'autore era coinvolto nelle fasi iniziali della relazione con Denyse Ouimet, la donna che sarebbe diventata la sua seconda moglie .
La narrazione riflette una certa mancanza di distacco che, al contrario, costituisce di solito uno dei punti di forza della scrittura di Simenon.
L'inizio (i misteriosi vicini, la figura ambigua e misteriosa conosciuta nel bar) fanno assaporare sviluppi che non poi si verficano.

3 febbraio 2009
In un corposo articolo, pubblicato sul Corriere della Sera, John Banville, ripercorre la carriera di Simenon e, a proposito del romanzo, dice:

«In Tre camere a Manhattan, pubblicato nel 1946, il protagonista, François Combe, noto attore francese prossimo alla cinquantina rifugiatosi in America in seguito alla separazione scandalosa e umiliante inflittagli dalla moglie attrice, è un autoritratto appena mascherato. In un bar di Manhattan François incontra Kay Miller, un’espatriata viennese che vive in America un’esistenza precaria e, suo malgrado, si innamora di lei. A sua volta, Kay è senza dubbio un ritratto di Denyse Ouimet. Nei bar e nelle strade notturne della città, e nelle tre camere del titolo – la prima in un alberghetto da due soldi, la seconda nell’appartamentino in affitto di François, la terza nella casa che Kay condivide con altri – e affrontando faticosi ostacoli, come la violenta gelosia di François e la fragilità emotiva di Kay, i due vivono un amore che per François è fonte di angoscia quanto di felicità. Parlando del romanzo, Joyce Carol Oates ne riconosce la natura autobiografica e vede Simenon, “il maestro dell’ironia... sopraffatto dalla sorpresa per quel che gli sta succedendo, soccombere a una romantica infatuazione di mezza età”.»

John Banville, Profondo noir, il cuore oscuro di Simenon, "Corriere della Sera", 26 gennaio 2009 [grazie ad Anna per la segnalazione].

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