giovedì 9 ottobre 2008

Ogni cosa è illuminata



Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata (Everything is Illuminated , 2002 - "Le fenici tascabili", Guanda, 2002 traduzione di Massimo Bocchiola).

Questo romanzo prendeva polvere sugli scaffali della libreria da un po' di tempo.
Attendeva, infatti, educato, il suo turno dopo gli altri libri che avevo intenzione di leggere. Ma la coda, a mano a mano, si è fatta sempre più lunga, mettendo a dura prova la pazienza anglosassone del volume, a partire dal momento in cui mi è capitato di vedere il film omonimo diretto da Liev Schreiber.
Come accade a moltissimi, mi capita di restare deluso dalle trasposizioni cinematografiche dei libri, credo sia qualcosa di condiviso da tutti i lettori paragonabile forse come diffusione al ripulso che si prova nell'ascoltare la propria voce registrata.
Da tempo quindi, nel momento in cui vengo a sapere che è stato tratto un film da un libro che intendo leggere cerco di anticiparne la lettura, per evitare delusioni; cosa che in questo caso specifico non mi è, naturalmente, riuscita.

Il film in realtà mi è piaciuto e, come merito non secondario, mi ha permesso di conoscere i Gogol Bordello, coautori della colonna sonora.
Nel frattempo, nell'attesa che i miei neuroni abbandonassero in qualche posto irraggiungibile del mio cervello le immagini evocate dal film, per una sorta di compensazione, ho letto Molto forte, incredibilmente vicino. La lettura di quest'ultimo ha però solo aumentato la voglia di leggere il romanzo d'esordio di Safran Foer.
Sono riuscito a resistere, fingendo superiorità, per tre lunghi anni agli occasionali sguardi sdegnosi che il libro mi lanciava dallo scaffale fino a quando, preso in mano per l'ennesima volta il libro lucido e giallo, mi sono dovuto arrendere.

Certo, ci sono molte differenze nella trama; il libro offre molta più profondità, la scrittura da sola vale la lettura, nella sceneggiatura del film è stata tagliata la quasi totalità del racconto sullo shtetl di Trachimbrod , mancano personaggi come Brod e Yankel, l'uomo di Kolki e Safran e non è quasi neanche accennato il percorso di "umanizzazione" di Alexander Perchov; ma, mentre lo leggevo, nella mia testa, i personaggi assumevano le fattezze di Elijah Wood e Eugene Hütz (gli attori del film), mi capitava di immaginare campi di girasole non autorizzati in mezzo a cui viaggiava lenta la Trabant azzura di Viaggi Tradizione...

Come accade a moltissimi, mi capita di restare deluso dalle trasposizioni cinematografiche dei libri; in questo caso, nonostante il film non sia affatto male, il libro è talmente superiore che mi dispiace che i miei neuroni, inaspettatamente, siano stati così efficienti.

Era un genio della tristezza, e in essa si tuffava distinguendone i molti fili, apprezzandone le sfumature più sottili. Era un prisma attraverso cui la tristezza poteva suddividersi enl suo infinito sprettro. * Brod, inventrice delle 613 Tristezze p.96

GLI EBREI HANNO SEI SENSI
Tatto, gusto, vista, odorato, udito... memoria. Mentre i gentili fanno esperienza del mondo mediante i sensi tradizionali e usano la memoria solo come strumento di secon'ordine per interpretare i fatti, per li ebrei la memoria non è meno primaria della puntura di uno spillo, o del suo argenteo luccichio, o del gusto del sangue che sprigiona il dito. L'ebreo è punto da uno spillo e ricorda altri spilli. E' solo riconducendo la puntura dello spillo ad altre punture - quando sua madre tentava di aggiustargli la manica con il suo braccio dentro; quando le dita di suo nonno si addormentarono accarezzando la fronte madida di suo bisnonno; quando Abramo saggiò il coltello per essere sicuro che Isacco non sentisse dolore - che l'ebreo appura perchè faccia male. Quando un ebreo incontra uno spillo, domanda: Che cosa mi ricorda? * Estratto del Libro degli antecedenti pp. 237-8

La casa dove tua bis-bis-bisnonna e io andammo a stare appena spostai dava sulle cascatelle [...] Aveva pavimenti di legno e finestre magnifiche e spazio sufficiente per una famiglia numerosa. Era una bella casa. Una buona casa.
Ma l'acqua... diceva la tua bis-bis-bisnonna ... non riesco a sentirmi quando penso.
Tempo, io la incalzavo. Datti tempo.
E, lascia che te lo dica: anche se la casa era spaventosamente umida, e il prato davanti una fangaia perenne a causa degli spruzzi; anche se i muri ogni sei mesi necessitavano di riparazioni, e scaglie di pittura cadevano dal soffitto in tutte le stagioni come neve... cioò che si dice di chi abita vicino a una cascata è vero.
Che cosa, chiese mio nonno, cosa si dice?
Si dice che chi abita vicino a una cascata non senta l'acqua.
Questo, si dice?
Esatto. Naturalmente la tua bis-bis-bisnonna aveva ragione.
All'inizio fu terribile. Non sopportavamo di rimanere in casa per più di poche ore di fila. Le prime due settimane furono caratterizzate da notti di sonno intermittente, litigi soltanto per il gusto di farci sentiore sopra lo scroscio. Litigavamo al solo scopo di ricordarci a vicenda che eravamo innamorati e non in preda all'odio.
PErò le settimane successive andò un po' meglio: era possibile dormire qualche buona oretta per notte e mangiare con un disagio sopportabile. la tua bis-bis-bisnonna ancora malediceva l'acqua [...], ma meno di frequente, e con minore furia. [...]
La vita continuò perchè la vita continua, e il tempo passò, perchè il tempo passa, e dopo pocp più di due mesi: Hai sentito? le domandai, una delle rare mattine in cui eravamo seduti insieme a tavola. Hai sentito? Deposi il mio caffè e mi alazi dalla sedia. La senti quella cosa?
Quale? mi chiese lei.
Esatto! risposi, correndo fuori per salutare a pugno teso la cascata. Esattamente!
Ballammo, lanciando in aria manciate d'acqua, senza sentire proprio neinte. Alternavamo abbracci di perdono e urla di umano trionfo all'indirizzo dell'acqua. Chi vince la battaglia? Chi vince la battaglia, cascata? Noi! La vinciamo noi!
E questo vivere vicino a una cascata, safran. [..] Il timbro si sbiadisce. La lama si smussa. Il dolore si affievolisce. Ogni amore è scolpito nella perdita. [...]
Ma questa non è tutta la storia, continuo la Meridiana. l'ho capito la prima volta che ho tentato di bisbigliare un segreto senza riuscirvi, o fischiettare una canzone senza insinuare la paura nei cuori di chi era nel raggio di centro metri, quando i miei colleghi della conceria mi hanno supplicato di abbassare la voce perché CHi riesce a pensare se gridi in quel modo? Al che io ho domandato: STO DAVVERO GRIDANDO? * La storia della casa sulla cascata, la Meridiana, pp. 313-5

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