mercoledì 11 marzo 2015

Il giardino dei dissidenti

Krugerrand del 1984.

Jonathan Lethem, Il giardino dei dissidenti (Dissident Gardens, 2013), "Narratori Stranieri", Bompiani, Milano, 2014, traduzione dall'inglese di Andrea Silvestri.

“No, sul serio, lo è davvero,” disse Porter. Porter era uno di quelli che nel dichiararsi d’accordo con te premettevano sempre un “no”, come se non avessi detto quello che volevi dire con la necessaria risolutezza.

Ogni possibilità non rinviata a un futuro inimmaginabile era fin troppo vivida e urgente, un cataclisma che spazzava via tutta la calma che aveva davanti. Miriam non era mai riuscita a trovare un punto di equilibrio tra questi due estremi.

Il cavo dell’inflessibilità di Rose non fece che tendersi come se un’estremità fosse ancorata ai cieli e l’altra al centro della terra, con questo prato inaridito infilato in mezzo a mo’ di perlina.

In quanto abitante di un secolo devastato potevi ridurre il mondo allo spazio occupato da una donna e un uomo nella radura di una pausa pranzo.

Scoprivi chi eri e cosa contava veramente solo dopo essere passato attraverso la lente della favola, imposta a ogni maschio e a ogni femmina del genere umano, che raccontava come laggiù nella foresta del mondo ci fosse qualcuno da amare e sposare ad aspettarti.

Le sue attenzioni gli erano parse una meravigliosa bottiglia in cui aveva sperato di infilarsi per poi espandersi come il modellino di una nave, le vele ammainate fino al momento in cui si spiegavano per occupare ogni angolo.

La copertina



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