Lo svincolo di Westway, Londra
James Graham Ballard, L'isola di cemento (Concrete Island, 1974), "Universale Economica Feltrinelli", 1935, Feltrinelli, Milano, 2007, traduzione dall'inglese di Massimo Bocchiola, 155 pagine.
Secondo capitolo della trilogia del 'urban disaster', si colloca, anche tematicamente, a metà tra Crash e High Rise (Il condominio). Alcune delle tematiche proprie di Ballard tornano anche in questo libro che però costituisce un momento piuttosto isolato nella sua produzione. L'idea è affascinante, un architetto esce di strada per eccesso di velocità e la sua Jaguar (naturalmente...) si trova scagliata nell'intersezione inacessibile di uno svincolo autostradale.
I suoi sforzi per chiedere aiuto incontrano l'indifferenza degli automobilisti e Robert Maitland, dopo un primo momento di scoramento, inizia ad esplorare lo spazio circostante, scoprendo che quello che sembra una zona anonima nel punto di incontro di tre autostrade è, in realtà, quello che resta di un quartiere degli inizi del secolo con cinema, cimiteri e rifugi antiaerei. Maitland, proseguendo nella sua ricerca, incontra anche gli abitanti dell'isola, suoi compagni di naufragio. Verso la fine del romanzo la trasfigurazione dello spazio fisico in dimensione esistenziale diventa completo.
Su Ballardian.com è disponibile un interessante studio sullo spazio geografico reale che ha ispirato Ballard nella stesura del romanzo.
Le cose stavano proprio così: quella zona di terreno incolto racchiusa nell'intersezione fra le tre autostrade era letteralmente un'isola deserta. p.31
L'immagine di un individuo storpio e infangato che baluginava distorta nel cofano del baule corrispondeva fedelmente alla sua condizione in quell'isola. Era prigioniero di un labirinto di cemento, praticamente inabile e senza risorse. p.34
La superficie dell'isola era decisamente irregolare. L'erba ammantava tutto, sollevandosi e ricadendo come le onde di un mare capriccioso. Lungo l'asse centrale correva un ampio avvallamento, che rivelava il tracciato di un vecchio vale di quartiere. Da entrambi i lati, l'erba cresciuta sulle sporgenze e sui parapetti aveva cancellato le strade secondarie. p.37
Guardò disperato l'isola, con le sue deserte scarpate autostradali. Era ancora intrappolato nella macchina, per caso?
Forse l'isola non era che una dilatazione della Jaguar; ed era stato il suo delirio a trasformare il parabrezza e i finestrini in quei terrapieni... p.60
Parlò ad alta voce, come un prete che celebri l'eucarestia del proprio corpo.
"Io sono l'isola."
L'aria versò ka sua luce. p.63
Cominciava a non sentire più alcun vero bisogno di abbandonare l'isola, e tanto bastava a confermargli il suo dominio su di essa. p.154
La Copertina
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