mercoledì 19 maggio 2010

Accabadora

Michela Murgia, Accabadora, Einaudi, Torino, 2009, 165 pagine.


Fillus de anima.
È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra. p.1

Rimasta vedova con quattro figlie femmine, Anna Teresa Listru da povera si era fatta misera, imparando a fare il bollito – diceva – anche con l’ombra del campanile. p.5

Quanti anni avesse Tzia Bonaria allora non era facile da capire, ma erano anni fermi da anni, come fosse invecchiata d’un balzo per sua decisione e ora aspettasse paziente di essere raggiunta dal tempo in ritardo. p.5

I silenzi si allungavano come ombre quando la vecchia e la bambina passavano per le vie insieme, suscitando code di discorsi a mezza voce sugli scanni del vicinato. p.6

Le domande della notte erano evanescenti come l’odore che si levava dalla cenere tiepida. p.13

Le due donne si separarono in un silenzio reso pesante da una tensione ambivalente: una di loro rimpiangeva di non aver detto abbastanza, proprio dove l’altra era convinta di aver sentito anche troppo. p.23

[...] sedeva nel soggiorno con la stessa grazia di un nuraghe sfatto. p.36

Era tutto un frusciare di pieghe di gonna lungo il confine tra una famiglia e l’altra [...] p. 36

Per un uomo che aspiri al rispetto degli altri, le cose buone possono anche essere gratuite, ma quelle cattive devono essere sempre necessarie. p.59

Come gli occhi della civetta, ci sono pensieri che non sopportano la luce piena. Non possono nascere che di notte, dove la loro funzione è la stessa della luna, necessaria a smuovere maree di senso in qualche invisibile altrove dell’anima. p.92

Ci sono cose che si fanno e non si fanno, e Maria la differenza la conosceva benissimo. Non era questione di giusto o sbagliato, perchè nel mondo in cui era cresciuta quelle categorie non trovavano posto. A Soreni la parola “giustizia” aveva lo stesso spazio di senso delle peggiori maledizioni, e veniva pronunciata solo quando c’era da evocare cieche persecuzioni contro qualcuno. Per la gente di Soreni la giustizia ti avrebbe forse potuto rincorrere, e se ti avesse preso ti avrebbe scorticato come un majale o crocifisso come un cristo, ti avrebbe fottuto per gioco come fanno gli uomini quando si comportano come le bestie, ti avrebbe stanato ovunque ti fossi nascosto e di sicuro non avrebbe dimenticato mai il tuo nome, né quello di chi era uscito da te; ma tutto questo non c’entrava nulla con il fatto che ci sono cose che si fanno e cose che non si fanno. pP.107

Le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge. p.145

la copertina

Nessun commento:

Posta un commento