Elif Shafak, La città ai confini del cielo (The Architect’s Apprentice, 2014), "La scala", Rizzoli, Milano, Traduzione dall'inglese di Beatrice Masini, 2014.
La città, ormai chiaramente definita, si apriva davanti a lui, splendente. Luce e ombre, vette e declivi. Su e giù, una collina dopo l’altra, coperte qua e là da boschetti di cipressi, sembrava un grumo di contrari. Negandosi a ogni passo, cambiando forma in ogni quartiere, affettuosa e spietata allo stesso tempo, Istanbul dava con generosità e con lo stesso respiro si riprendeva il dono.
C’era qualcosa di bello nell’aria, e se a quel tempo avesse posseduto quella parola, avrebbe definito quel qualcosa una benedizione.
Le sue parole, come increspature sulla superficie di uno stagno, si diffusero, raggiungendo le rive della folla, e da lì furono spinte indietro verso il centro, e trasformate nell’andare.
Ripiegando il cuore come un fazzoletto, Jahan vi conservava la memoria dei pomeriggi trascorsi insieme.
Non si può camminare diritti se la strada è storta.
Disse che ci sono tre fontane di saggezza a cui ogni artigiano dovrebbe bere in abbondanza: i libri, il lavoro e le strade. Leggere, lavorare e viaggiare.
Le pietre stanno ferme. Chi vuole imparare, mai.
Siamo mortali. Le decisioni sono pecore; le abitudini, il pastore.
Jahan pensava che esistessero due tipi di templi costruiti dall’uomo: quelli che aspiravano a raggiungere il cielo e quelli che desideravano portare il cielo più vicino a terra. Poi, di rado, ce n’era un terzo: quello che faceva tutte e due le cose.
«Il meretricio è come il vento» disse Balaban, «più gli metti i ferri, più scivola dai buchi.»
Non avrebbe mai osato definire amore ciò che provava per Mihrimah, eppure raccolse con cautela la parola pronunciata e rivelata da qualcun altro per stringersela al petto: non voleva lasciarla andare.
«Sei più forte. Attento, però. Se reggi una spada, obbedisci alla spada, non è il contrario. Non si può portare un’arma senza sporcarsi le mani di sangue.»
Per tutta risposta Sinan disse che la conoscenza, ilm, è un carro trainato da molti cavalli. Se uno dei destrieri comincia a galoppare più veloce, anche gli altri cavalli accelerano e il viaggiatore in carrozza, l’alim, ne trae beneficio. I progressi in un campo sostengono i progressi in altri campi. L’architettura dev’essere amica dell’astronomia; l’astronomia dell’aritmetica; l’aritmetica della filosofia; e così via.
Forse, avrebbe concluso Jahan, quando sei troppo vicino sei cieco, e solo a una certa distanza comprendi.
Stava perdendo la fede nel suo mestiere. Allora non sapeva che il valore della propria fede non dipende da quanto è solida e forte, ma da quante volte uno la perde ed è ancora in grado di recuperarla.
Jahan annuì, la gola stretta. Ricordava anche il resto. Voi siete i testimoni dei vostri rispettivi viaggi. E dunque lo saprete, se uno di voi va fuori strada. Seguite il percorso di chi è saggio, di chi è vigile, di chi ama, di chi lavora sodo.
Allora è così, pensò. Il centro dell’universo non è a est né a ovest. È dove ci si arrende all’amore. A volte è dove si seppellisce un essere amato.
«La verità è una farfalla: si posa su questo e su quel fiore. Tu la insegui con un retino. Se la catturi sei felice. Ma non vive a lungo. La verità è una cosa delicata.»
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