Amélie Nothomb, Cosmetica del nemico (Cosmétique de l’ennemi, 2001), "Amazzoni", Voland, Roma, traduzione dal francese di Biancamaria Bruno, 2003.
Cosmetico, l’uomo si lisciò i capelli con il palmo della mano. Doveva essere impeccabile perché l’incontro con la sua vittima avvenisse a regola d’arte.
– Gli esseri della sua specie sono sempre convinti che gli altri provino interesse per loro.
– Il peggio è che hanno ragione.
Vede, gli adulti insegnano ai bambini a dire buongiorno alle signore e a non ficcarsi le dita nel naso: non gli insegnano a non uccidere i compagni di scuola. Avrei provato più rimorso se avessi rubato le caramelle da una bancarella.
Le stavo dicendo che l’essere umano è una cittadella e i suoi sensi ne sono le porte. L’udito è l’entrata custodita meno bene: e da qui la sua sconfitta.
– Crede che le persone malate di senso di colpa abbiano davvero bisogno di un motivo serio? Il mio nemico interiore era nato col favore della zuppa per gatti: avrebbe potuto trovare altri pretesti. Quando si è destinati a diventare colpevoli, non è necessario avere qualcosa da rimproverarsi. Il senso di colpa si aprirà un varco con qualsiasi mezzo. È la predestinazione.
– Abbia il senso delle sfumature, per favore.
Al mondo non c’è niente di più incomprensibile dei volti, o meglio, di certi volti: un insieme di tratti e di sguardi che d’improvviso diventano la sola realtà, l’enigma più importante dell’universo, che si guarda con sete e con fame, come se vi fosse inciso un messaggio supremo.
– Già, smancerie. A un divoratore di peperoncino non può proporre un timballo di riso.
Ogni volta che l’uomo sbatteva la testa contro il muro, sottolineava il suo gesto con un grido. Urlava: “Libero, libero, libero!”
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